VACCINARSI: perché si!

VACCINARSI: perché si!

Le vaccinazioni vanno considerate uno degli interventi più  efficaci e sicuri di prevenzione primaria in sanità pubblica. L’obiettivo dei programmi vaccinali è infatti quello di conferire uno stato di protezione ai soggetti sani che, per alcune condizioni epidemiologiche, di salute, occupazionali o comportamentali, sono esposti al pericolo di contrarre determinate infezioni, nonchè quello di ottenere la riduzione e, quando possibile, l’eradicazione di alcune malattie infettive per le quali non esiste una terapia o che possano essere causa di gravi complicazioni.

I vaccini sono preparati biologici costituiti da microrganismi uccisi o attenuati, oppure da alcuni loro parti (antigeni), o da sostanze prodotte dai microorganismi e rese sicure (come ad esempio il tossoide tetanico che deriva dal trattamento della tossina tetanica) oppure, ancora, da proteine ottenute con tecniche di ingegneria genetica. Generalmente i vaccini contengono anche acqua sterile (o una soluzione fisiologica a base salina) e alcuni possono contenere, in piccole quantità, anche un adiuvante per migliorare la risposta del sistema immunitario, un conservante (o un antibiotico) per prevenire la contaminazione del vaccino da parte di batteri, qualche stabilizzante per mantenere inalterate le proprietà del vaccino durante lo stoccaggio.

 

Esistono varie tipologie di vaccino:

  • vaccini vivi attenuati (come per morbillo, rosolia, parotite, varicella, febbre gialla e tubercolosi): prodotti a partire da agenti infettivi resi non patogeni
  • vaccini inattivati (come per l’epatite A, la poliomielite e l’antinfluenzale split): prodotti utilizzando virus uccisi tramite esposizione al calore oppure con sostanze chimiche
  • vaccini ad antigeni purificati (come per la pertosse acellulare, l’antimeningococco e l’antinfluenzale a sub-unità): prodotti attraverso raffinate tecniche di purificazione delle componenti batteriche o virali
  • vaccini ad anatossine (come per tetano e difterite): prodotti utilizzando molecole provenienti dall’agente infettivo, non in grado di provocare la malattia ma sufficienti ad attivare le difese immunitarie dell’organismo
  • vaccini a Dna ricombinante (come per epatite B e meningococco B): prodotti clonando e producendo una grande quantità di un determinato antigene.

Come funzionano i vaccini

Una volta somministrati, i vaccini simulano il primo contatto con l’agente infettivo evocando una risposta immunologica (immunità umorale e cellulare) simile a quella causata dall’infezione naturale, senza però causare la malattia e le sue complicanze. Il principio alla base di questo meccanismo è la memoria immunologica: la capacità del sistema immunitario di ricordare quali microrganismi estranei hanno attaccato il nostro organismo in passato e di rispondere velocemente (l’assenza di una memoria immunologica è il motivo per cui i bambini piccoli vanno incontro alle malattie infettive più frequentemente dell’adulto). Senza le vaccinazioni, il nostro corpo può impiegare anche due settimane di tempo per produrre una quantità di anticorpi sufficiente a contrastare l’invasore. Un intervallo di tempo durante il quale il microrganismo può causare danni al nostro organismo.

Per alcuni vaccini è necessario fare dei richiami, ovvero delle somministrazioni ripetute più volte a distanza di tempo.

Nonostante la vaccinazione sia per definizione un intervento preventivo che quindi và effettuato prima dell’esposizione all’agente infettivo, in alcuni casi può essere utilizzata anche a esposizione avvenuta e prende il nome di “profilassi post-esposizione”. Un esempio è la vaccinazione contro la rabbia effettuata a soggetti che siano stati morsi o siano entrati in contatto con un animale rabbico (questo perché il virus della rabbia necessita di un certo tempo per raggiungere il sistema nervoso e causare i sintomi della malattia, tempo durante il quale il vaccino è in grado di stimolare una risposta immunitaria che elimina il virus prima che la malattia si manifesti). Anche le vaccinazioni contro morbillo e varicella possono essere efficaci dopo l’esposizione all’infezione: il vaccino contro il morbillo, se somministrato entro 72 ore dall’esposizione, può prevenire la malattia o ridurre la gravità dei sintomi. Per quanto riguarda la varicella, gli studi finora condotti indicano che la vaccinazione sino a 5 giorni dopo l’esposizione al virus è utile per prevenire la malattia o ridurne la gravità. Il virus influenzale merita una menzione a parte perché il virus cambia ogni anno e quindi la composizione del vaccino antinfluenzale viene decisa, su indicazione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), in base ai ceppi che si prevede circoleranno maggiormente durante il periodo invernale.

Il valore sociale delle vaccinazioni si riflette sia sul singolo individuo sia sulla collettività.

Dal punto di vista individuale, in presenza di una malattia prevenibile attraverso la vaccinazione che sia relativamente frequente, grave o fatale, e che comporti comunque una compromissione dello stato personale di benessere, appare chiaro come la vaccinazione rappresenti un vantaggio purché i prodotti vaccinali disponibili soddisfino opportune caratteristiche di efficacia e di tollerabilità.

Una ulteriore dimensione del bilancio tra i rischi e i benefici delle vaccinazioni riguarda i vantaggi per la popolazione.

Il fenomeno della protezione comunitaria ottenibile per molti vaccini a seguito del raggiungimento di un’elevata copertura nella popolazione bersaglio (immunità di gregge) rappresenta da sempre il valore aggiunto della vaccinazione a livello sociale. Va sottolineato che la protezione alla comunità si estende anche ai non vaccinati che comprendono alcune categorie di persone svantaggiate, come i bambini non vaccinati (quelli molto piccoli o affetti da particolari patologie per cui non possono vaccinarsi, quelli non vaccinati per scelta dei genitori o perche provenienti da paesi dove non esistono le vaccinazioni per tutti), gli anziani, gli ammalati o le persone fragili, le donne in gravidanza.

Per poter esprimere la loro massima efficacia nella popolazione la maggior parte dei vaccini deve raggiungere una adeguata copertura vaccinale. Per copertura vaccinale si intende la proporzione di soggetti vaccinati sul totale dei soggetti candidati alla vaccinazione. Le coperture vaccinali costituiscono un indicatore molto utilizzato perche forniscono informazioni indispensabili per la programmazione sanitaria. Storicamente, in Italia la copertura vaccinale per le vaccinazioni obbligatorie si è sempre collocata intorno al 90-95%.

Purtroppo i dati pubblicati dal Ministero della Salute al 31 Dicembre 2016 hanno dimostrato che i tassi vaccinali erano in diminuzione e variavano fortemente per i diversi vaccini e le diverse regioni con un valore medio nazionale del 93.3% e un trend in diminuzione soprattutto in alcune regioni e per alcune malattie (Fig 1, Fig 2, Fig 3).

I dati disponibili: trend nazionale 2000-2016 (a 24 mesi) (Carlo Signorelli, PhD)

Fonte: Ufficio V – DG Prevenzione Sanitaria – MINISTERO della SALUTE

Fig 1

Fig 2

Fig 3

Questi valori ben al di sotto del 95%, soglia raccomandata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per limitare la circolazione di virus e batteri nella collettività e ottenere anche la cosiddetta immunità di gregge, hanno destato e destano grandi preoccupazioni.

Per far fronte a questa emergenza, nel corso del 2017 il nuovo Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale ha previsto l’introduzione di nuovi vaccini, di nuove popolazioni target, campagne di formazione ed informazione e l’introduzione di tali vaccini nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) (Fig 4).

Inoltre, sempre nel 2017,  la legge sull’obbligo vaccinale (decreto-legge 7 Giugno 2017, n. 73, recante disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale) ha introdotto, per i minori tra 0 e 16 anni e i minori stranieri non accompagnati, 10 vaccinazioni obbligatorie e gratuite a seconda della coorte di nascita.

 

Calendario vaccinale 2017-2019

Fig 4

Un accenno particolare alle donne in età fertile che devono assolutamente essere protette nei confronti di morbillo-parotite-rosolia (MPR) e varicella, dato l‟elevato rischio per il nascituro di infezioni contratte durante la gravidanza, specie nelle prime settimane di gestazione. Per la varicella contratta nel periodo pre-parto, il rischio, oltre che per il nascituro, è anche molto grave per la madre. Pertanto, devono essere messe in atto politiche di offerta attiva di tali vaccinazioni, anche attraverso una capillare sensibilizzazione di medici di medicina generale e ginecologi. Le vaccinazioni con vaccini vivi attenuati non sono indicate se la donna è in gravidanza ma in questo caso  se una donna risulti  non immune contro la rosolia o la varicella (o entrambe) durante la gravidanza, è importante che sia immunizzata prima della dimissione dal reparto maternità, nell‟immediato post-partum.

Anche nei confronti dell‟influenza è importante che la donna sia immunizzata durante il secondo o terzo trimestre di gravidanza.

Infatti l‟influenza stagionale aumenta il rischio di ospedalizzazione, di prematurità e basso peso del nascituro e di interruzione di gravidanza.

Di grande rilievo è anche la vaccinazione durante la gravidanza contro difterite, tetano, pertosse.

Infatti, la pertosse contratta nei primi mesi di vita può essere molto grave o persino mortale, la fonte di infezione può essere spesso la madre, e la protezione conferita passivamente da madri infettate dal bacillo della pertosse o vaccinate molti anni prima è labile e incostante. Per tali motivi è importante vaccinare la madre nelle ultime settimane di gravidanza perché questo stimolo consente di aumentare la quantità di anticorpi, trasferiti passivamente, in grado di proteggere il neonato fino allo sviluppo di una protezione attiva da vaccinazione del bambino. Il vaccino si è dimostrato sicuro sia per la donna in gravidanza, sia per il feto.

I rischi associati alle malattie prevenibili con le vaccinazioni sono di gran lunga superiori a quelli derivanti dal ricevere i vaccini. Tuttavia il fatto che la disponibilità di vaccini abbia ridotto nel tempo la diffusione di alcune malattie gravi e mortali, o ne abbia limitato la letalità e le sequele, o le abbia in qualche caso eliminate, ha attenuato la percezione della loro gravita, portando paradossalmente a creare problemi nella loro accettazione.  A ciò si aggiunge la tendenza a non rispettare il calendario vaccinale, effettuando in ritardo le vaccinazioni.

Il diffuso atteggiamento di rifiuto o di esitazione nei confronti delle vaccinazioni è il risultato di disinformazione, falsi miti, dati ingannevoli. Gli operatori sanitari devono conoscere dubbi, obiezioni, teorie devianti per saper fornire risposte ragionate e adeguate a cittadini e pazienti. Lo scetticismo nei confronti dei vaccini è di vecchia data , tuttavia ai nostri giorni è certamente sostenuto e amplificato dalla facilità con cui chiunque può reperire informazioni contrastanti su Internet, e da molte altre motivazioni, che spesso non hanno niente a che fare i vaccini.

Particolarmente complesso è il fenomeno identificato con il termine “esitazione vaccinale” (vaccine hesitancy) che comprende concetti di indecisione, incertezza, ritardo, riluttanza. Riconoscendo la rilevanza dell’esitazione vaccinale, nel 2012 lo Strategic Advisory Group of Experts (SAGE) on Immunization dell’OMS ha creato un gruppo di lavoro specifico sul tema, che ha pubblicato nell’agosto 2015 le proprie raccomandazioni. Il gruppo di lavoro SAGE ha formulato una definizione dell’esitazione vaccinale come un ritardo nell’adesione o come rifiuto della vaccinazione, nonostante la disponibilità di servizi vaccinali e ha sottolineato che è urgente e necessario sviluppare sistemi istituzionali e competenze organizzative a livello locale, nazionale e globale al fine di identificare, monitorare e indirizzare proattivamente l’esitazione vaccinale, di rispondere tempestivamente ai movimenti anti vaccinatori in caso di disinformazione o di potenziali eventi avversi.

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